14.03.25 – Riccardo Moncalvo, misconosciuto grande torinese della fotografia, Camera fino al 6 aprile 2025

Riccardo Moncalvo, misconosciuto grande torinese della fotografia

Conoscevo Moncalvo per alcune sue iconiche immagini in bianco e nero e ne avevo una ottima considerazione.

Ritrovare queste immagini, accostate a qualche altra decina selezionata per la mostra di Camera, mi ha confermato nell’opinione che Riccardo Moncalvo (Torino, 1915-2008) sia davvero un grande fotografo italiano, degno di altri ben più noti, purtroppo misconosciuto.

In 60 anni di carriera, ha instaurato un forte legame col territorio diventando testimone di cambiamenti urbani e sociali della sua città, e non solo.

Seguendo, fin da ragazzo, le orme del padre , titolare dell’Atelier di Fotografia Artistica e Industriale, lavora quindi a fianco di istituzioni come il Museo Egizio e l’Armeria Reale, e di realtà industriali come Fiat, Pininfarina e Recchi.

Moncalvo ha sviluppato un linguaggio autonomo con una particolare sensibilità per la modernità, assecondando, tra fine anni Trenta e fine anni Quaranta, il linguaggio della Nuova Visione (Nella tormenta (1935), Il gesto (1937), Paesaggio pedonale (1937) e Serpe d’acqua (1938).

Ma consolidando a poco a poco una cifra assolutamente personale e, per molti aspetti, di avanguardia.

Un importante riconoscimento internazionale arriva negli anni Cinquanta, quando viene selezionato dall’Agfa-Gevaert per apprendere il nuovo metodo di stampa a colori: da lì seguirà l’adozione delle pellicole negativo-positivo della Ferraniacolor arrivando nel 1958 a essere il primo in Italia autorizzato da Kodak all’uso delle sue pellicole.

L’attività del fotografo torinese cresce costantemente fino alla chiusura dello studio, avvenuta alla fine degli anni Ottanta.

Moncalvo ha battuto e sperimentato diverse strade, maturando diverse ispirazioni che traeva dal suo notevole bagaglio di conoscenze delle opere di diversi autori suoi contemporanei, fino ad affermare una propria cifra stilistica di assoluto rilievo, come fanno gli autori davvero grandi.

La sontuosa selezione di 50 immagini operata dall’ottima curatrice ed esperta di archivi, Barbara Bergaglio, mette in luce l’evoluzione e la straordinaria visionarietà dell’autore torinese.

La mostra è intensa e tutta da godere, con calma per apprezzarla a fondo, senza dimenticare l’ottino catalogo.

 

RICCARDO MONCALVO

FOTOGRAFIE 1932-1990

a cura di Barbara Bergaglio

 

dal 14 febbraio al 6 aprile 2025

 

CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia

Via delle Rosine 18, Torino

Per info (orari, biglietti, catalogo) riferirsi al sito di Camera: www.camera.to

23.02.25 – Cartier Bresson e l’Italia in 160 foto a Camera – fino al 2 maggio 2025

A Camera, 160 foto di "Henry Cartier-Bresson e l'Italia"

Non sono mai stato un acritico estimatore di Henry Cartier-Bresson (HCB, per gli amici).
Potrei fare il nome di almeno dieci grandi fotografi e fotografe che considero almeno allo stesso livello, se non superiori, anche nello stesso genere del “nostro”.
Soprattutto mi sono sempre stati un po’ “indigesti” i suoi fanatici seguaci, che ovviamente lo considerano l’Assoluto, l’”occhio del secolo”, come è stato, secondo me, esageratamente soprannominato.

Non si può tuttavia negare il ruolo che HCB ha svolto in un particolare periodo della storia della fotografia, quando essa assumeva nell’immaginario collettivo un ruolo insostituibile di documentazione e racconto, tramite le riviste più famose e nonostante la crescita della televisione.

Ed è proprio questa la dimensione in cui si colloca la nuova mostra di Camera, Centro Italiano per la Fotografia, aperta dal 14 febbraio al 2 giugno 2025.
Curata da Clément Chéroux (Direttore della Fondation Henry Cartier-Bresson) e Walter Guadagnini (Direttore di Camera), la mostra su HCB, per la prima volta in assoluto, anche con la ricerca di foto inedite, propone un racconto dedicato al legame tra il fotografo francese e l’Italia, uno dei Paesi da lui più frequentati e amati, con l’intento di far emergere uno straordinario spaccato socioculturale del nostro Paese. “In Italia, come nei paesi mediterranei, c'è una vita fuori dalle case, la vita è per strada”, ha sottolineato Chéroux durante la conferenza stampa di presentazione.

L’esposizione presenta 160 immagini che si focalizzano su alcuni periodi centrali della carriera del fotografo.

Nel 1932, nel corso del suo primo viaggio, il fotografo, ancora giovanissimo, acquisisce nuove consapevolezze sulla sua carriera e definisce la cifra stilistica che lo renderà riconoscibile in tutto il mondo.
La straordinaria gestione dello spazio dell’immagine, il rapporto tra realtà e invenzione e la capacità di cogliere l’istante. In particolare, all’interno di alcuni paesaggi urbani si nota un processo di geometrizzazione del reale che racconta di un uso mentale della macchina fotografica.
La ricerca delle immagini di questo periodo ha consentito anche la ridatazione di alcune immagini.

Dopo aver fondato con Robert Capa, David “Chim” Seymour, George Rodger e William Vandivert l’agenzia Magnum Photos nel 1947, ormai noto a livello internazionale, il fotografo torna in Italia nel 1951, in un Paese profondamente cambiato, reduce dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale e in corso di ricostruzione.
In qualità di fotoreporter realizza servizi per diverse testate internazionali concentrandosi soprattutto su Roma e sul Sud Italia, che presentano caratteristiche sociali e visive ben riconoscibili. In particolare, sono celebri gli scatti realizzati in un Sud modellato sulle pagine di Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi.
Questi scatti documentano il disagio e le criticità del contesto sociale meridionale, ma anche la straordinaria ricchezza delle sue tradizioni e le novità introdotte dalla riforma agraria, dando ulteriore visibilità internazionale alla questione.

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta Cartier-Bresson lavora a numerosi servizi sulle città di Roma, Napoli e Venezia, nei quali si può apprezzare da un lato la sua capacità di interpretare la vita quotidiana delle città e dei loro abitanti, dall’altro la sua abilità di ritrattista anche degli intellettuali del tempo, tra cui Pier Paolo Pasolini, Roberto Rossellini e Giorgio de Chirico.

L’ultimo periodo italiano risale agli anni Settanta, poco prima di allontanarsi dalla fotografia professionale, quando il fotografo si focalizza sul rapporto tra uomo e macchina e sull’industrializzazione in particolare del Sud del Paese: sono di quegli anni, infatti, i servizi sullo stabilimento Olivetti di Pozzuoli e su quello dell’Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco.

La mostra si chiude idealmente con il ritorno a Matera, per raccontare, negli stessi luoghi fotografati vent’anni prima, proprio la nuova realtà che avanza verso la modernità, rimanendo comunque aggrappata all’imprescindibile identità locale, e con un video delle Teche RAI riscoperto per l’occasione.
L’esposizione cronologica nelle sei sale di Camera, include al solito un percorso di opere visivo-tattili accompagnate da audiodescrizioni.

Per info (orari, biglietti, catalogo) riferirsi al sito di Camera: www.camera.to